Domenico Cantatore

   Tra i maestri della "generazione di mezzo" Domenico Cantatore si evidenzia per l'attività pittorica che nell'arco di oltre cinquant'anni si è articolata attraverso sperimentazioni, molteplicità di interessi, caratterizzandosi per intima spiritualità, indubbia fantasia, vivida espressività, raro equilibrio nell'evocare la nostra umana ed il mondo circostante.

    Un'esistenza, la sua, consumata alla dedizione al lavoro, da maestro che come pochi ha scoperto l'antica misura di esser moderno.

   Di particolare spicco la sua produzione grafica ; un complesso di litografie, acqueforti, cere molli, acquetinte ad uno p più colori, da allineare accanto all'opera pittorica, che contribuisce ad acclamarne compiutamente la personalità. Sperimentatore attento alle ricerche più novatrici fin da quando aveva studio all'Accademia di Brera, dove per anni ha tenuto la cattedra di pittura ; cosi che egli stesso in una intervista rilasciata a Mario Monti (pubblicata nel volume Immagine Tradotte, disegni e d'après, Milano, 1988, che raccogli acquerelli, smalti e pastelli, frutto della sua mediazione sugli antichi maestri) : "La mia passione per l'incisione risale agli anni d'insegnamento a Brera.

   I primi esperimenti li facevo per mio conto, escogitando anche tecniche di mio capriccio. La mia prima litografia la realizzai da Upiglio, anche lui agli inizi, tanti anni fa. Quella litografia fu premiata alla Biennale della Grafica di Venezia. In seguito ho ripreso in modo più professionale con Raffaele Bandini. Bandini e Upiglio sono ora i nomi di maggior fiducia. Sono rimasti pochissimi gli esecutori grafici che si avvalgono di metodi classici, originali. Purtroppo anche in questo campo vi sono esigenze di mercato che impongono determinati soggetti, limitando all'artista la libertà d'espressione e di fantasia. Con Bandini lavoro da molto tempo, litografie incisioni all'acquatinta, a cera molle, nei modi più tradizionalmente validi, con risultati che emergono dal mare magnum delle mie sofisticazioni".

   Un excursus, che principiato nel 1942, con le acqueforti Donna Seduta e Nudo in piedi (eseguito per illustrare "Cenerentola" di Massimo Bontempelli), si sviluppa gradualmente dal 1958 ad oggi, attraverso qualche centinaio di fogli, in attesa di una compiuta catalogazione.

   Ci limitiamo a segnalare il Nudo Giallo Seduto (lito in tre colori, 1958), la prima ODALISCA con il pappagallo (lito in cinque colori, 1959) preannuncio di molteplici analoghe figure femminili serene e incantate insieme, in blu, in lilla, in rosso, in giallo, colte in un momento di siesta nel chiuso di una stanza, o en plein air, in un meriggio affocato, o alle prime luci della sera la gentilissima Donna in bianco allo specchio (lito in sette colori, 1959), il mirabile Crocefisoo Verde (incisione su zinco in cinque colori, 1960), che non esiteremo a collegare per la sincera spiritualità che lo anima, al Cristo ligneo di intagliatore dauno della fine del dodicesimo secolo, conservato presso la Pinacoteca Provinciale di Bari ; la sorprendente Gitana (lito in nero, 1960) premiata alla quarta edizione della Biennale grafica di Venezia (1961), la Natura Morta con la Conghiglia (incisione su zinco a otto colori, 1960), una delle prime creazioni di grande sensibilità e controllo, in cui si affida a poveri oggetti di uso familiare ; che vedremo riproposti in più fogli con la stessa intensità espressiva ; Gente del Sud (cera molle su zinco, in nero, 1963) unitamente a quel capolavoro, che è quasi un'antica icone, La Figura della Sera (acquaforte acquatinta a cinque colori, 1963) dalle magiche cadenze di rossi e di neri, le testimonianze della scoperta della sua terra, la Puglia, che in una summa, viene amorevolmente documentata attraverso quindici incisioni a colori, eseguite in omaggio a Rocco Scotellaro (lo scrittore rivelato da Carlo Levi) raccolte nella cartella Un Incontro Antico (Edizioni dell'Orso, Milano, 1974), raffigurazione della realtà quotidiana dei suoi uomini e delle sue donne che hanno la mdesima humanitas delle sculture delle cattedrali romaniche di Ruvo, Barletta, Bitonto, Trani, Bari e a volte, ci riportano agli affreschi delle grotte basiliane e di alcune cripte di chiese dell'undicesimo e dodicesimo secolo, gli ulivi centenari che, sembra quasi lottano, so sono opposti alla inclemenza del mutare dei giorni e delle stagioni, alcune essenziali notazioni di paesaggi dai segni energici e bilanciati insieme, e dalla paritura cromatica mediterranea, soggetti su cui tornerà ad indagare nel fluire del tempo, anche oggi.

   Precisiamo che anche Montefiore dell'Aso è stata per anni una viva fonte di ispirazione ; l'affettuosa scoperta delle colline leopardiane, scomparite con misura dalle fatiche dell'uomo, dalle macchie arboree, delle prode erbose, delle ampie distese di cielo nella dolcezza delle primavera, nell'estate incombente, nel trepido autunno, tra improvvisi bagliori di luce solare e un gioco surreale di nubi, gli hanno offerto il destro per alcuni dei suoi raggiungimenti più novatori e prestigiosi.

   Come ha annotato Raffaele Carrieri : " Il suo disegno è cresciuto con gli anni, si è maturato, rinforzato, ha messo le spine e gli aculei per strapparsi dalle radici e prendere posto nello spazio che il nostro ha voluto ristretto per farci stare dentro, senza spreco, le sue figure laconiche, corrose, incuneate nello spazio con la medesima energia dei trapani e delle putrelle. Disegnare per lui è scavare, far uscire dall'ombra ciò che deve vivere."

   Quasimodo scrisse : " L'ombra è per Domenico Cantatore secondo la vulgata mediterranea, il segno del lutto, della morte, nero della natura che chiude il suo giorno lieto e di pianto :respinge ogni rifrazione astratta perché dipingere significa incominciare da un fatto reale. Un contadino, un ulivo dal tronco aperto come una bestia macellata di fresco, una foglia danzante nel paesaggio pomeridiano, un frutto, un fiore rosso simile ad una polpa animale, un nudo visto di schiena, un nudo di scorcio che fa più ad uno spezzone di stoffa che a una donna coricata, tutte queste immagini hanno compiuto una pesante fatica per farsi strada nell'ombra per raggiungere la luce che le ha condotte sino a noi. Gli inchiostri di Cantatore hanno il colore del sangue, del fuoco, delle ceneri mescolate all'asfalto : o sono verdi come i rami e le frasche al primo getto ; o viola come il vino che fermenta. La loro struttura con tutte le correzioni di chiaro scuro è resistente.

    No dovremo dimenticare le incisioni per illustrare alcune opere che si inseriscono nella grande tradizione del libro d'arte italiano Uomo del Mio Tempo (ed. Franco Riva, Verona,1963, testo di Salvatore Quasimodo, e un'acquaforte), Venne l'Acqua (ed. Sciardelli, Milano, 1966, un racconto di Domenico Cantatore e cinque incisioni a colori), Gli Dei Scapestrati (ed. Maestri, Milano, 1972, testo di Raffaele Carrieri e sei incisioni a colori).

    La presente rassegna, dedicata da Domenico Cantatore a Montefiore dell'Aso (che gli ha giustamente conferito la cittadinanza onoraria), curata sapientemente da Raffaele Bandini, offre una ulteriore occasione di soffermarsi e meditare sulla sincera umanità di un artista che , sul filo della memoria, ha saputo caratterizzarsi sin dalle origini con sincero lirismo.